Relazione M° Giorgio Fabbri
Musicista, didatta e direttore di vari conservatori
“Il tititom: evitare una perdita e consentire una conquista”
Il primo e più importante valore del tititom sta nell’entusiasmo appassionato del suo creatore, Luciano Titi. Entusiasmo e passione che si traducono in quella flessibilità e disponibilità accogliente, che sono fondamentali per lo sviluppo di un’idea innovativa. Anziché arroccarsi su posizioni rigide e preconcette, l’atteggiamento di Titi è invece molto aperto, disponibile, pronto a orientarsi o disorientarsi, secondo le necessità.
Questo significa che il suo focus, più che essere rivolto verso se stesso, è precisamente direzionato a trarre dall’idea il massimo delle possibilità, in modo da poter avvicinare il maggior numero di persone allo studio della musica.
Questo aspetto è particolarmente rilevante, perché lascia presagire la possibilità di ottenere dal progetto un numero elevato di applicazioni, come già in fase di presentazione è stato possibile constatare.
L’idea del tititom è perfettamente coerente con le esigenze che si presentano, anche con carattere di urgenza, nel momento culturale e sociale che stiamo vivendo.
Il valore principale del progetto sta, a mio parere, nella possibilità di ottenere due precisi risultati: da un lato consente di evitare una perdita, e dall’altro permette di favorire una conquista.
Partiamo dalla perdita. A quale perdita mi riferisco?
C’è un problema molto grave che da tempo caratterizza lo studio della musica in Italia, con particolare riferimento ai Conservatori di Musica (e forse anche in molte altre scuole di musica private che ne imitano l’organizzazione): l’elevatissimo tasso di abbandono degli studi prima della loro conclusione.
Il numero di studenti che inizia gli studi musicali continua ad essere elevato. Le domande di ammissione in un Conservatorio di dimensioni medio-piccole come quello di Ferrara supera con facilità ogni anno le 150 unità, per avvicinarsi spesso alle 200 persone che chiedono di accedere agli studi musicali, in una struttura che ha veste professionale come quella di un Conservatorio.
Di essi trovano posto nell’istituto dalle 50 alle 80 unità, secondo le diverse disponibilità di posti, che sono a numero chiuso.
Quanti sono, d’altra parte, gli studenti che si diplomano ogni anno? Le statistiche ci dicono che difficilmente superano le 8/10 unità. Ciò significa che, a fronte di un elevato numero di ingressi, gli studenti che abbandonano gli studi prima del tempo rappresentano una percentuale elevatissima.
Le cause dell’abbandono sono tante e non è questa la sede opportuna per sviscerarle tutte. Certamente l’approccio in prevalenza cattedratico, l’avvicinamento allo studio teorico con pratiche obsolete come quelle del solfeggio parlato, la totale assenza della musica di insieme nei primi anni di studio, l’esclusione del coinvolgimento del corpo e della componente ludica, la collocazione in posizione secondaria dell’interesse per sviluppare il piacere di far musica, possono essere alcune delle cause più determinanti.
Le potenzialità del tititom nel trovare soluzioni a queste problematiche e nel favorire quindi la fidelizzazione allo studio della musica, specie per chi vi si avvicina per la prima volta, sono state del tutto evidenti nel corso della presentazione dello strumento effettuata lunedì 6 giugno a Ravenna.
In particolare è stato evidente come l’approccio allo strumento preveda modalità di azione collettiva, che passano attraverso la componente ludica e coinvolgono tutte le facoltà sensoriali del bambino: quelle visive, quelle tattili, quelle uditive e quelle cinestesiche, legate alla corporeità.
Ciò fa dello strumento una risorsa eccellente, perché va a coinvolgere nei processi di apprendimento la parte più efficace della mente, ovvero quella emozionale, che è radicata nei sistemi limbici del cervello, di gran lunga i più efficaci nel rendere stabile e duraturo il processo di apprendimento.
Abbiamo visto, forse per la prima volta, i bambini sorridere e gioire nel realizzare seri e rigorosi esercizi ritmici a più parti, nell’organizzare spazialmente la struttura delle forme ritmiche, nell’entrare con facilità nei processi di traduzione notazionale delle frasi musicali.
Senza contare la disinvoltura con la quale i bambini si sono prodotti nell’esecuzioni di strutture “irregolari”, a 5 o a 7 o a 10.
Particolarmente significativo il passaggio attraverso la corporeità, con movimenti delle parti del corpo, associate a figure ritmiche e all’emissione di suoni, tutti percorsi certamente di grande efficacia nel favorire l’avvicinamento alla musica dei più piccoli.
Il tititom contiene quindi una speranza, quella che coloro che si avvicinano allo studio della musica, vi trovino gioia, entusiasmo, facilità, condivisione, socializzazione, completezza, rispetto della persona, anziché barriere insormontabili, processi noiosi e ostili, esperienze lontanissime dalla reale azione musicale. Evitare una perdita, ecco la prima possibilità dello strumento.
Segue poi la seconda potenzialità: quella di favorire una conquista.
A quale conquista mi riferisco? Quella degli adulti.
Immagino molte volte una società nella quale la musica non sia dominio soltanto dei musicisti, ma sia un linguaggio a disposizione di chiunque, di qualunque età, condizione, razza, o estrazione sociale. Il tititom in questo senso è uno strumento del tutto democratico, alla portata di chiunque.
Nella mia esperienza di musicista che si dedica anche alla formazione aziendale e manageriale, ho provato e provo tuttora a cercare di far vivere alle persone l’esperienza dell’esecuzione strumentale o vocale, poiché trovo in essa straordinarie potenzialità formative.
Il tititom può essere quello strumento che mancava, per consentire anche ad adulti che non hanno mai suonato o cantato, di poterlo fare con piena cognizione di causa, con piena padronanza delle forme e delle strutture musicale, perfino pensando di poter giungere in breve tempo a leggere la musica.
La semplicità e l’efficacia nell’utilizzo dello strumento potrà essere facilitatrice nella realizzazione di attività formative tipicamente aziendali. Ad esempio nel lavoro in gruppo, la distribuzione dei diversi compiti, l’ascolto e il rispetto degli altri, la concentrazione e la focalizzazione sugli obiettivi, potranno essere facilmente sperimentati in chiave musicale con l’ausilio del tititom, potendo uscire dalla logica dell’improvvisazione o della ripetizione per imitazione, per entrare direttamente nelle logiche di costruzione vera e propria del linguaggio musicale.
E poiché tutti gli adulti hanno ancora vivo dentro di sé il loro bambino interiore, tutto ciò potrà essere fatto coinvolgendo nei processi di apprendimento la parte più potente e importante della mente, quella legata ai sistemi emozionali, capaci di influire con forza nella stabilizzazione del sapere e nel radicamento della memoria.
La prima sera che incontrai Luciano Titi, c’era con lui una persona adulta, di professione commercialista, che con molta disinvoltura, orgoglio e autocompiacimento, fu in grado di trascrivere e riprodurre consapevolmente una struttura ritmica che aveva studiato col tititom un mese prima.
Musica scritta su un tovagliolo di carta, battendo il tavolo con un cucchiaio.
C’era molta emozione negli occhi del commercialista, quasi incredulo di aver potuto appropriarsi in modo così semplice di un codice ritenuto fino ad allora inaccessibile.
Credo che aver saputo suscitare quell’emozione sia uno dei più grandi valori dell’invenzione di Luciano Titi.
Essa simbolicamente rappresenta il miracolo che potrebbe accadere, in un tempo non lontano in cui tutti, piccoli e grandi, possano avvicinarsi alla musica con lo stesso rigore, e al tempo stesso con la stessa emozione, lo stesso orgoglio e lo stesso profondo compiacimento del nostro amico commercialista.
Relazione del M° Antonello Farulli
Musicista e didatta (Scuola musicale di Fiesole)
Presidente ESTA Italia (European String Teachers Association)
Buon pomeriggio e grazie per essere qui. Molti di coloro che operano nell’ambito dell’educazione e dell’istruzione musicale, si chiedono spesso a che punto sia arrivato il nostro Paese. Vi sono segni buoni e segni cattivi. Di questi ultimi non vorremmo oggi parlare. Certo che, anche a voler essere ottimisti desta qualche perplessità che per parlare di uno strumento con funzioni ritmiche si sia arrivati a chiamare un povero violista come me.
Più seriamente, vorrei dire che c’è un’Italia nella quale si rincorrono le notizie di chiusura di iniziative artistiche e didattiche. E c’è un’intera classe politica per la quale con la cultura e con l’educazione “non si mangia”.
Invece oggi vi parliamo di un’altra Italia, di quella della passione, della ostinata determinazione di quelli che non vogliono mollare. E c’è, soprattutto, uno schieramento che sta divenendo il vero “fronte” politico della nostra società. C’è tutta una Italia nascosta che lavora in questa direzione, ed è una Italia che non ha nessuna luce, nessun palcoscenico. Noi lo vediamo quando si assegna a Fiesole il Premio Abbiati per la Scuola, quando scopriamo decine e decine di progetti fatti da umilissimi insegnanti della primaria e della secondaria. Progetti fatti di materiali poveri, spesso con uno strumentario francescano e ricchi solo di amore e di passione. È lo schieramento di coloro che credono fermamente nell’incredibile potenziale delle facoltà intellettive dell’essere umano e della necessità di nutrirle e di sollecitarle fin dalla prima infanzia. A maggior ragione, che all’interno di questo prestigioso Festival si produca la presentazione di un metodo per la diffusione facilitata del ritmo costituisce una commovente e meravigliosa eccezione.
Luciano Titi fa parte, di questo schieramento con il suo accento romagnolo, con il suo ingegno tipicamente italico di vedere le cose che altri non son capaci di immaginare e di farne strumenti di gioia, di allegria e ciò che è più importante di gioia e di allegria per tutti.
Ma anche in questo caso, invece di scivolare nella facile retorica del suo “talento” mi piace collocare il suo “oggetto” da un punto di vista storico. Luciano Titi, infatti, appartiene ad una lunga tradizione di “insoddisfatti” della pedagogia musicale che ha illustri predecessori. Trovo necessario, qui, richiamarne brevemente, tre nel campo specifico della ritmica. Lo faccio non per dare sfoggio di un sapere accademico, ma perché la didattica musicale viene ancora oggi insegnata, quando e se lo si fa, come un elemento indipendente dagli indirizzi della pedagogia e della cultura tout court. Si insegna, quando va bene il
modo di “impostare” l’allievo, qualche volta secondo una prospettiva funzionale, altre semplicemente enunciando i concetti. E lo si fa come se suonare il violino, per esempio, non fosse, da un lato una complessa operazione semiologica, dall’altro non comportasse una raffinata educazione del controllo del corpo e per ultimo non fosse uno strumento, forse il più sofisticato per comprendere se stessi in relazione agli altri. Ogni metodo, anche il più specifico, fa infatti parte di una filosofia e di un universo concettuale più vasto.
Credo sia arrivato il momento di ricucire questa frattura, anche e soprattutto perché la musica ci appare in questo scorcio di apertura del terzo millennio come lo strumento privilegiato dello sviluppo di tutte le intelligenze. La musica d’insieme, in particolare appare essere oggi, non lo diciamo noi, ma ce lo dicono le neuroscienze, l’unica disciplina, nell’epoca delle intelligenze multiple, capace di comporle, di svilupparle armonicamente e al di là del significato individuale e sociale, darne forma concreta con un risultato artistico vero, reale. La Conoscenza delle proprie emozioni, ossia la capacità di riconoscere un sentimento nel momento stesso in cui si presenta. Quella che si chiama intelligenza intrapersonale.
Il controllo delle proprie emozioni attraverso una tecnica strumentale che non può conoscere una totale perdita di controllo. La motivazione di se stessi come capacità di dominarsi per raggiungere un obiettivo. Il riconoscimento delle emozioni altrui, ovvero l’empatia, senza la quale è difficile avere un rapporto di collaborazione e di comunicazione con l’altro. La gestione delle relazioni ovvero l’intelligenza interpersonale. La capacità di resistere, e di giungere ad un comune obiettivo tutti insieme.
Deve essere quindi chiaro a tutti che il lavoro di Luciano Titi si iscrive in questo percorso storico e il suo “atto d’amore”, permettetemi di chiamarlo così fa parte di un contesto preciso e importante. Mi piacerebbe chiamarlo di un atteggiamento. Troppo spesso ci si concentra su “cosa” insegnare e non su “come” insegnare, perché la musica soffre ancora del preconcetto di una istruzione destinata alla professionalità di coloro che vi sono portati e non all’educazione dell’essere umano. Nell’oggetto di Luciano vi sono entrambe queste preoccupazioni, quella di sollecitare l’intelletto e quella di costituire un approccio semplice, facilmente fruibile. Per questo a me sembra un “atto d’amore”. Il vero gesto didattico non è concepibile privo di questo slancio verso gli allievi. A maggior ragione non si può non ricordare lo spirito dell’opera Jaques Dalcroze tra fine ‘800 ed inizio ‘900 e il suo sforzo per reinventare una ritmica che fosse lontana da quella disciplina bizzarra e astratta che, ancora oggi, in tutti i nostri istituti musicali pubblici e privati è il solfeggio.
Dalcroze aveva intuito qualcosa che è risultato sempre più chiaro nel corso del tempo e soprattutto in questi ultimi 30, 40 anni. E cioè che non è possibile immaginare una ritmica che non contempli e coinvolga l’uso del corpo nella sua interezza. Il corpo è considerato da Dalcroze, il primo strumento musicale. Fa impressione, talvolta guardare filmati di straordinari strumentisti del passato e confrontarli con quelli di oggi. Dunque la ritmica dalcroziana è una educazione alla musica per mezzo della musica stessa. Quella ricerca è stata tanto intensa da produrre grandi effetti sia in ambiti artistici (danza e teatro per primi), ma anche in pratiche terapeutiche (psicomotricità, trattamento di handicap fisici e mentali). La sua era una didattica incentrata tanto sul singolo quanto sul gruppo, e, ciò che più ci interessa qui oggi, le spiegazioni degli esercizi erano estremamente limitate, elementari, perché l’attività iniziava con una percezione a livello motorio per poi, solo in seguito, allargarsi alla sfera cognitiva. Pochi concetti per poi partire con le attività vere e proprie. In questa concezione gli oggetti avevano un ruolo fondamentale in quanto capaci di aiutare ad assumere consapevolezza corporea e a strutturare lo spazio, divenendo spesso fonte di contatto tra più persone. In campo specificamente musicale, invece, un importante contributo lo introdusse il libro di Paul Hindemith (mi dispiace per voi, ma si tratta di un altro violista). Il libro si chiamava Elementary training for musicians, ma in italiano la traduzione tradisce subito una certa durezza accademica: Teoria musicale e solfeggio. In realtà il sistema di Hindemith è dal punto di vista della semplicità assolutamente geniale e contempla esercizi di sviluppo della coordinazione, sul modello di certi metodi per percussionisti, che producono rapidamente un effetto positivo, assai di più della italica verbalizzazione delle note. La verbalizzazione delle note della tradizione italiana non è di per sé sbagliata. Contiene infatti un elemento di concreta validità. Il suo presupposto è che la velocità con cui si elaborano gli impulsi che permettono la parola, il nome della nota, sollecitano il sistema nervoso e lo coordinano al gesto della mano o del braccio. Non è sbagliato pensare che se un impulso è veloce e coordinato, ciò costituirà un buon inizio di un percorso ritmico, sempre se non si studiano a memoria i solfeggi. Ma da questo inizio al coinvolgimento del corpo nell’attività ritmica e alla concezione mentale di ritmi complessi, da questo alla misurazione esatta della consistenza dei silenzi c’è ancora una notevole distanza. Da tutte queste esigenze, cioè quella del coinvolgimento del corpo e quella di una ritmica come sviluppo delle capacità di coordinazione del cervello, si è prodotta in Italia una didattica innovativa che però è circoscritta al solo sistema Suzuki. La persona che lo ha elaborato si chiama Elena Enrico, ed è una risposta alle frequenti rimproveri che si sentono a proposito del sistema Suzuki, voi sapete che si tratta di un metodo per violino, e che spesso viene criticato per il fatto che in una prima fase i bambini suonano per imitazione. A queste obiezioni il sistema Suzuki Italiano risponde con una ferrea preparazione ritmica degli insegnanti, e con un sistema di preparazione, prima della lettura delle note che eredita la preoccupazione di Dalcroze di coinvolgere tutto il corpo e che eredita dal sistema concepito da Rolland nei primi anni ’70, sviluppa l’indicazione di Hindemith a proposito della coordinazione e coglie molte delle novità che le neuroscienze hanno introdotto nella campo musicale. Sono infatti le neuroscienze che ci dicono che molta parte di ciò che noi chiamiamo talento è , invece , banalmente propriocezione, cioè la sensibilità che ognuno di noi ha per le singole parti del corpo e la sua capacità di gestirle. Vi sono molte iniziative (Musica in fasce e Gordon) che si occupano di quanto per il feto, ancora nel grembo materno sia importante l’ascolto della musica. . Il corpo si muove seguendo le emozioni, ed è attraverso il movimento del corpo che si costruisce la mente. Emozione, movimento, mente. Torneremo su questo concetto della tridimensionalità del ritmo quando illustrerò le qualità specifiche del Tititom. Ma è bene che sia chiaro sia questo schema, emozione (suono), movimento, formazione delle sinapsi, sia il percorso inverso. Infatti, allo stesso modo, quando l’emozione diviene consapevole nella mente trova attraverso il linguaggio dei sensi il modo di permettere al corpo di esprimersi. L’emozione è dunque, con certezza, parte integrante del processo cognitivo.
Sembrerebbe dunque che molta della partita nella costruzione di ciò che volgarmente chiamiamo talento si giochi appena il bambino viene concepito. E qui arriva Luciano e la sua passione. Non c’è infatti alcun dubbio che la società italiana e molta parte di quella mondiale siano dalla parte di coloro che si accontentano di certificare il talento come dono divino. È vero, vi sono paesi, primo fra tutti il Venezuela, ma anche molta parte del Sud- America, di cui si parla troppo poco, e anche paesi avanzatissimi come la Finlandia dove si è scelta la musica come mezzo nobile dell’educazione dell’individuo, non come sistema di costruzione di giovani e dotati musicisti. Semplicemente per dare una forma di educazione
al linguaggio che nel nostro paese è un diritto negato. Tutto ciò fa parte di una filosofia e di un atteggiamento che io chiamo illuministico. La domanda è se si può costruire un talento, ma soprattutto se possiamo restituire a tutti la possibilità di esprimersi musicalmente. Lo strumento di Luciano dà concretezza ad una considerazione di una disarmante semplicità: per ottenere un risultato musicale è necessario far precedere un’immagine mentale ad una azione muscolare. In campo strumentale, io la chiamo la ricostruzione mentale dei movimenti. Vale a dire la capacità dell’individuo di studiare un brano senza contatto alcuno con lo strumento. È la strada nuova che ci appare all’orizzonte per una consistente riduzione dei tempi di studio. C’è un altro basilare significato nel metodo di Luciano, ed è una verità di fondo che si dimentica troppo spesso. Se uno non fa una esperienza non sa fare una cosa. Ciò vale soprattutto in campo musicale. È la grande tragedia delle ore di attività musicale trascorse a scuola a parlare della biografia di questo o quell’autore o facendo qualche disegno ispirato dalla musica (Stefano e il romanticismo).
La musica ha bisogno di esistere ed esiste solo se qualcuno le dà vita. Goethe, nei suoi Studi Morfologici, affermava: “ogni nuovo oggetto, se ben contemplato, dischiude in noi un nuovo organo”. Capita, spesso, che un grande pittore, piuttosto che un grande compositore, ci faccia “vedere” qualcosa che era rimasto nascosto ai nostri occhi, ai nostri orecchi. È il suono, o l’immagine che dischiude in noi l’occhio. Luciano ha inventato un sistema che risolve molte se non tutte le difficoltà a concepire il ritmo nelle sue varianti più complicate e sofisticate. Il suo Tititom crea uno strumento sonoro che è al contempo uno strumento concettuale, di creazione del pensiero, della mente. Non vi può essere, infatti, una esperienza di ritmo senza la percezione di una organizzazione o strutturazione di una forma ossia di un ordine. C’è, nel metodo di Luciano una attenzione, del tutto originale, direi da monaco buddista a connotare la pausa e il silenzio come entità concreta.
Vi è in tutto questo un atteggiamento di derivazione buddista ad esserci senza per forza dover intervenire in modo attivo. Una espressione di attenzione silenziosa. Si tratta, come ho accennato di un modello ritmico tridimensionale che vede coinvolti tre soggetti: il suono (attraverso le membrane sonore), le emozioni (che derivano dall’attività stessa), i movimenti. La distanza tra il soggetto e il raggiungimento di questo risultato è cosa che compete al didatta o, come in questo caso, al genio dell’inventore. Il Tititom è concepito, lo si è detto, per essere usato in gruppo, o singolarmente. Vi confesserò che quando ci siamo visti per la prima volta con Luciano avevo due sole perplessità. Una riguardava una certa concezione “verticale del ritmo” che noi apprendiamo in un modo che si rivela molto efficace per i pianisti, ma che non lo è per tutti gli altri strumenti, primi fra tutti quelli ad arco. Su questo tema il Tititom, e la sua capacità di adattarsi a qualsiasi posizione, la sua duttilità, mi ha profondamente rassicurato. L’altra preoccupazione era relativa alla conquista da parte dell’allievo in modo graduale di una notazione musicale. O meglio del passaggio da una concezione mentale ad una che potesse essere espressa graficamente. Particolarmente mi preoccupava la fascia di età dei bambini in età prescolare laddove la concezione stessa dello scrivere e leggere non sono, ovviamente, ancora sviluppate. Dopo una brevissima rassegna compiuta assieme su alcuni metodi, Luciano si è inventato rapidamente un linguaggio originale che tiene conto delle acquisizioni più recenti della pedagogia musicale e che a me è sembrato oltre che divertente, molto efficace. Il Tititom è uno strumento che dà concretezza e misurazione alla pulsazione ritmica e dà corpo alla pausa non come elemento passivo del ritmo ma come parte vibrante della musica. A me piace perché rappresenta la volontà di dare a molti, in un modo concreto e umile, la possibilità di impadronirsi di un linguaggio. Viviamo in un mondo dove l’apparenza ci dice che siamo in possesso di forme di comunicazione “assolute”. E più andiamo avanti in questa direzione più ci accorgiamo che le cose che abbiamo da dire e ciò che è consentito dire è, invece, sempre meno. L’educazione, e in particolare quella musicale, è divenuta sempre più costosa, e mentre ci preoccupiamo, come è giusto, del disagio delle fasce sociali più deboli, la scuola, quella di tutti i giorni è priva dei mezzi della sua stessa sopravvivenza. Le attività musicali specifiche, in particolare e nei casi migliori, sono delegate all’esterno, proprio perché la scuola non ha né può permettersi le competenze specifiche di un linguaggio così complesso. È anche in questo contesto che dovete inquadrare il lavoro di Luciano Titi. Nella sopravvivenza di un atteggiamento artigianale, umile e concreto nel porgere soluzioni fruibili da tutti e, nella loro candida semplicità, intelligenti e risolutive,
grazie.
L’Associazione Culturale Quartetto Fauves
Attesta:
Di aver realizzato, nell’ambito del progetto denominato “Quartetto per tutti”, un laboratorio di musica d’insieme rivolto agli alunni delle scuole primarie di Ravenna. Il progetto, che si è svolto tra i mesi di dicembre 2011 e febbraio 2012, è stato finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna.
I Professori Elisa Floridia (viola), Giacomo Gaudenzi (violoncello), e Luciano Titi, hanno partecipato in qualità di docenti dei laboratori musicali.
Il progetto ha avuto come obiettivo la realizzazione di vere e proprie sessioni di musica di insieme realizzate in modo innovativo e con modalità di educazione musicale totalmente nuove.
In particolare si è inteso realizzare un diverso e più naturale approccio verso l’apprendimento degli strumenti ad arco. Ciò è stato reso possibile grazie allo strumento tititom del Maestro Luciano Titi.
I laboratori si sono svolti all’interno delle scuole “Ricci-Muratori”, “Bruno Pasini” presso Ravenna e “Giuseppe Garibaldi” presso Porto Corsini, rispettivamente alla presenza delle insegnanti Maria Grazia Amato, Amalia Mondelli ed Elisa Guiati.
Hanno partecipato complessivamente cinque classi. Ad ogni classe sono state dedicate quattro ore di laboratorio, per una durata complessiva del progetto di quaranta ore. Complessivamente, ai laboratori hanno partecipato circa novanta alunni.
Gli alunni, inizialmente, si sono misurati con alcuni dei concetti di base della teoria musicale (pulsazione, durata, altezza del suono, timbro) avendo da subito la possibilità di metterne in pratica le ricadute sul piano concreto dapprima sullo strumento tititom, e subito dopo su di una varietà di strumenti (tamburi, timpano, triangolo, chitarra, flauti dolci, violini e violoncelli). In particolare, l’approccio immediatamente musicale consentito dallo strumento tititom, ha reso possibile avvicinare in modo naturale ed entusiasmante gli alunni agli strumenti ad arco, con risultati di notevole efficacia.
L’aspetto più sorprendente è stato il livello del risultato musicale raggiunto: dopo appena un incontro, anche gli alunni senza una precedente specifica formazione musicale, hanno potuto “arrangiare” in tempo reale la melodia iniziale della Serenata in Sol Maggiore K.525 di W. A. Mozart. Gli alunni hanno eseguito, coordinandosi ritmicamente grazie allo strumento tititom, vere e proprie partiture con differenti livelli di polifonia, in cui erano contemporaneamente presenti sia parti ritmiche (realizzate dagli strumenti a percussione) che parti armoniche (realizzate da flauti e archi).
Gli alunni hanno potuto godere, in questo modo, di un’esperienza ricca di una quantità di implicazioni sul piano culturale, cognitivo, psicomotorio ed emotivo, difficilmente riproducibile sotto altre forme.
E’ importante anche sottolineare il fatto che i laboratori, grazie al finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, non hanno comportato alcun costo né per le strutture scolastiche, né per le famiglie degli alunni coinvolti.
Dott. Giovanni Gaudenzi
Presidente e Legale Rappresentante Ass. Cult. Quartetto Fauves
Relazione Alberto Pisu
Musicista e organizzatore di eventi
In qualità di musicista e di organizzatore di eventi, legati anche alla didattica musicale, attraverso incontri/laboratori di animazione dedicati a bambini e insegnanti, ho avuto l’occasione e l’onore di conoscere il musicista e compositore Luciano Titi con il quale ho condiviso alcune esperienze musicali e ultimamente sono stato anche testimone di una importante “ideazione” da parte del maestro Luciano Titi che riguarda la realizzazione di uno strumento, denominato e tititom, di un metodo per l’apprendimento del ritmo, applicabile in svariati modi, situazioni e discipline.
Sono stato organizzatore e spettatore di un recente laboratorio di animazione musicale che ha visto coinvolti circa 700 bambini (scuole elementari e medie) ai quali è stato proposto il “metodo” di insegnamento supportato da questa straordinaria invenzione, che è appunto il tititom.
Praticamente, tutti i bambini partecipanti, (a volte anche in gruppi di 50) hanno potuto apprendere con facilità delle situazioni ritmiche a volte complesse, e nel volgere di pochi minuti essere coinvolti in una bella e gioiosa esperienza del suonare insieme e ritmicamente con degli strumenti musicali.
L’innovativa e geniale proposta di apprendimento si è dimostrata estremamente utile e importante per lo sviluppo di una consapevolezza ritmica e musicale in genere. La versatilità dello strumento, modulabile in diverse combinazioni, potrebbe essere inserito a pieno titolo per l’utilizzo in tutti quei contesti della
formazione musicale ed in tutte le fasce d’età.
Per questo motivo, considero questo strumento e questo metodo quasi un tassello mancante o meglio un elemento imprescindibile per la formazione musicale, facilitando il superamento di ostacoli e lacune, quasi sempre trascurati o non considerati.
Mi riferisco in particolare al concetto di “pulsazione”, la base e l’elemento essenziale per ogni espressione musicale e che attraverso l’utilizzo di questo metodo e strumento, con la visualizzazione e l’applicazione pratica, conduce l’esecutore ad una consapevolezza del ritmo, e/o comunque della scomposizione ritmica in genere, forse mai raggiunta con sistemi e metodi tradizionalmente usati, soprattutto nell’ambito delle prime formazioni musicali.
Con questa premessa, riterrei quasi indispensabile l’utilizzo dello strumento da parte degli insegnanti di musica, che sarebbero agevolati non solo nella fase di insegnamento con i loro bambini/ragazzi ma anche, prima ancora, per rafforzare il loro personale bisogno di comprensione del fenomeno ritmico e musicale che questo strumento e metodo mette loro a disposizione.
In sostanza, un ripasso “formativo” che colma appunto delle lacune, spesso inespresse, che a loro volta si riflettevano sugli allievi.
È un nuovo punto di partenza insomma, che ci condurrà ad esplorare il mondo della musica con una prospettiva nuova e sicuramente più agevole per tutti, eliminando inutili inibizioni e barriere create dalla incomprensione di semplicissime regole, da ora alla portata di tutti.
Matteo Salerno
Direttore Orchestra Città di Ravenna
In qualità di musicista e di dirigente di una scuola di musica credo che il metodo tititom di Luciano Titi rappresenti un ottimo strumento di apprendimento ritmico utile per diversi aspetti.
Per i più piccoli lo trovo assai valido per avvicinarli al ritmo in modo divertente ed immediato mentre credo che i più grandi possano utilizzarlo per chiarire alcuni concetti di organizzazione metrica che a volte sfuggono anche a musicisti preparati ed in attività.
Lo suggerisco come strumento e metodo di apprendimento da inserire nelle programmazioni didattiche sia nelle scuole di musica che nell’insegnamento musicale scolastico statale, dalla scuola dell’infanzia fino alle medie inferiori.
Ringrazio Luciano per avermi fatto conoscere questo straordinario strumento che non appena possibile proverò ad adottare anche io all’interno della scuola di musica Malerbi.
Prof. Marcello Landi
Artista
Dirigente scolastico Istituto D’istruzione Superiore “P. L. Nervi”- I.S.A. “G. Severini”
L’istituto che dirigo, ha ospitatoun interessantissimo laboratorio sulla “Scrittura metrica in musica” tenuto dal Prof. Luciano Titi utilizzando il Metodo Tititom di sua ideazione in collaborazione con il Dott. Gregor Ferretti.
I ragazzi hanno appreso importanti nozioni sul ritmo, sulla musica, sulla composizione musicale, sulla metrica e la metrica in musica, ottenendo a fine corso una canzone inedita in lingua italiana di loro paternità completa di musica e parole (testo). Sono sorpreso ed entusiasta del risultato ottenuto.