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La storia del Tititom – Capitolo primo

Anno 1998, ore 12,45 circa. 
Sto tornando a casa con Francesco (il mio Piccolo Principe) che ha quattro anni. La campagna è scaldata da un manto basso ma non troppo di nebbia umida in questo novembre.
Facciamo lo stesso gioco ogni giorno al ritorno dalla scuolina.
Vincerà chi conterà più aironi sulle rive e nell’acqua del fiumicello “Fosso Ghiaia”. 
Nessuno sa perchè i rari aironi cinerini che si vedevano alla fine degli anni 80 fossero diventati una vera colonia stanziale tra le tane delle nutrie.
Non vincevo naturalmente mai.

Arrivati a casa mi accinsi a preparare il pasto. Raccolsi come al solito un po di erbe “buone”: tarassaco, foglie di malva e ortica per il sugo del pranzo nel campo dietro casa. Le ultime.
Utilizzai un barattolo di pomodoro che, una volta lavato, avrei gettato nel contenitore apposito dietro casa (che portavo in discarica di tanto in tanto). Francesco guardava un cartone in tv.
Il barattolo era sul grande piano di cottura angolare d’acciaio.
All’improvviso la mia attenzione si focalizzò sul barattolo vuoto.
Mi venne d’istinto di suonare il fondo del barattolo con la forchetta. (il suono di un barattolo di metallo ha una sua intrinseca bellezza).
Poi lo girai con la stessa mano e capii prima ancora di percuotere poi il vuoto del barattolo.
Nonostante le tante soluzioni anche brillanti che avevo trovato ed utilizzato nascondessero tutte al loro interno la verità che vedevo in quel momento non lo avevo mai compreso così chiaramente.
Preparai il pasto e poi sistemai la cucina velocemente. Non potevo pensare ad altro.
Appena potei andai nel retro casa e recuperai un certo numero di barattoli rovistando tra le bottiglie. Li lavai togliendo le etichette armato di paglietta e quindi li asciugai  con cura.
Andai nel mio grande studio, il mio regno. Uno spazio grande che ospitava il mio pianoforte, il cabinotto per la batteria, le apparecchiature per registrare. In quello spazio ho registrato tutti i miei lavori di ricerca e pochissimi lavori per amici o giovani che ritenevo avessero un valore da esprimere (un altro dei miei vizi).   
Un tavolo con due cavalletti ed un pianale ed ero pronto. Cominciai a comporre una prima sequenza di quattro barattoli in fila. Iniziai a suonare i barattoli. Questa:

Es N.1

la provai con altre combinazioni

Es N.2

Avevo visto qualcosa di molto importante di cui stavo assaggiando i contorni.
Stavo vedendo il ritmo con una precisione e una assoluta coincidenza di spazio-tempo come mai lo avevo veduto e sentivo il suono che le varie matrici che via via componevo rendevano in modo autonomo mentre io semplicemente eseguivo una semplice pulsazione. Il “ritmo” più semplice esistente che più tardi avrei chiamato naturale poiché connesso alla vita ed al suo ambiente.
Capii quindi che chiunque fosse stato in grado di esprimere una pulsazione regolare sarebbe stato in grado di produrre un fenomeno perfetto di cui non sapeva nulla, entrarvi in contatto diretto ed esperienziale e quindi evolvere.
Pensai subito a coloro che mi son sempre stati cari. I bambini, anche quelli che hanno avuto meno fortuna.
La prima declinazione e la più ovvia per me fu quella della didattica.
Dal momento che avevo trovato la sorgente avevo ora intenzione di capire come arrivare al lontano mare. Il suono ed il silenzio come le due facce della stessa medaglia. Stesso aspetto, stessa durata, stesso spazio. Le domande cominciavano ad arrivare in gran numero.
Quanti bambini sanno tenere una pulsazione e se si da che età? 
Quanti bambini sanno comprendere che il tempo per andare da A a B è identico (musicalmente) al tempo che trascorre per andare da B ad A e cioè il “da capo”?
Il da capo serve alla ripetizione senza soluzione di continuità del ciclo ritmico poiché è questo ciò che chiamiamo ritmo.
Iniziai a cercare risposte ad ognuna delle domande che sorgevano continuando ad indagare e comincia a capire che ciò che desideravo era ridurre al minor numero possibile le difficoltà.
La mia idea cominciava a prendere forma raccogliendo tutto il mio passato.
La didattica che io vedevo era al servizio del allievo (che aveva sempre il volto di un bambino per me ma che poteva essere chiunque), ed in ogni modo si faceva carico di andare nella direzione delle capacità mostrate dal discente. Il più possibile vicino ad esse.  Il Tititom mi aveva dato l’esempio pratico, anzi concreto. E la prova concreta è la più potente di tutte. Ero già convinto.
Feci una serie di prove con matrici anche con basi matematiche diverse: a tre, a cinque, a sette.
Ne disegnai a Migliaia e di tutti i tipi.  Dipanavo la corona delle possibili combinazioni.
Feci un primo manoscitto con tutte le possibilità con matrici di metro diverso.
Sarebbe stata necessaria una scelta sulla base delle priorità didattiche e il loro ordine e 
dell’estetica degli studi che avrei dovuto sviluppare. Desideravo fosse anche bello e divertente.

In tre

In cinque

In sette

Cosa stavo comprendendo?
Chiunque (su questo temine il lavoro di sperimentazione è iniziato subito e non si è mai fermato proprio per capire quanti esseri umani abbiano una capacità pulsativa e quanti no, in che percentuale di casi la capacità pulsativa non è presente o è danneggiata?
A condizione che ci sia questa capacità pulsativa, chiunque avrebbe ottenuto il rimando sonoro (congruente a quello visivo e a quello motorio) contenuto come informazione nella struttura matriciale. Perfettamente musicale e corretto. Mi si spalancava un oceano davanti agli occhi.
Chiunque, in altri termini, poteva produrre un risultato ritmico complesso(ma non solo ritmico e lo vedremo) senza averne la capacità.

L’idea dello strumento didattico Tititom  era ormai chiaramente presente. 
Non avevo idea di quanto sapessi pochissimo di lui.
Cominciai a sviluppare l’idea di uno strumento che possedesse il massimo di potenziale sinestetico. Allo stimolo visivo e di movimento (con un “direttore” che esegue la “Partitura”), si aggiungeva il suono che la matrice produce. “Così si realizza un aumento esponenziale delle possibili connessioni neuronali che possono attivarsi” pensavo. La sollecitazione del bambino (leggi chiunque) è ai massimi livelli possibili. Già, possibili. Ciò che non sapevo ancora avrebbe moltiplicato il mio stupore.